Continuiamo a sentire il solito disco rotto e anche un po’ triste. Una destra senza idee che prova a mettere insieme tutte le sigle
nazionali, e si fa guidare dal segretario di quella più estrema, e meno rilevante, per paura di intestarsi la sconfitta il giorno dopo. La sommatoria alla fine porterà un vistoso segno meno, perché a Pesaro, anche chi non è di centrosinistra ama la propria città e non ci sta a sentirla raccontata diversa da come è per calcolo politico. A Pesaro anche chi ha idee più conservatrici sa riconoscere una città che cambia, anche perché spesso è primo protagonista del cambiamento, dalla propria azienda, dal proprio bar, dall’associazione in cui presta volontariato. Imbarazzante anche il tentativo di volere rimettere in piedi per il voto lo spaventapasseri della città pericolosa, buttato giù dallo stesso Salvini, a cui dovrebbero eventualmente rivolgersi, neanche venti giorni fa. Più in generale la città di Pesaro ha raccolto la sfida di ripensarsi, di essere più vivace e attrattiva e respinge la strana cultura della destra pesarese del non fare e del non lasciar fare, invocare più burocrazia e più ricorsi quando sono sconfitti sul piano delle idee, delle proposte e dell’amore per la città.